L’impatto dei nuovi media sulla psiche
Da un recente sondaggio inglese emerge che un buon numero di persone soffre di ansia da disconnessione: valutiamo questi dati con l’ausilio del pensiero perspicace del sociologo McLuhan
Secondo uno sondaggio svolto da Future Laboratory e commissionato da Virgin Media, più di un terzo delle persone quando non sono più in contatto con i propri familiari provano un senso di ansia. Il 31% del campione (1000 persone, gran parte delle quali residenti spesso in casa) sente una forte angoscia quando non dispone di una connessione Internet per poter svolgere il proprio lavoro, più di un quarto quando non può comunicare con i propri amici. I due terzi degli intervistati si sentono a loro agio quando non hanno problemi di connettività. Nonostante la limitatezza del campione, è abbastanza chiaro l’impatto dei nuovi media sulla psiche umana, non tutti però reagiscono allo stesso modo: c’è chi è stressato dall’uso intensivo di Internet e in generale tecnologie digitali e chi invece non vive serenamente al di fuori di questo. Il proliferare di vere e proprie cliniche specializzate nella disintossicazione dal Web lo dimostra. Precorrendo i tempi il sociologo canadese McLuhan, molti anni prima della rivoluzione digitale, aveva previsto un impatto profondo dei nuovi media sul sistema nervoso umano. L’immissione sul mercato di nuovi mezzi tecnologici da una parte amplia le nostre facoltà mentali ma il rischio è quello di esserne fagocitati, ciò comporta una loro valutazione assoluta priva di qualunque principio etico.
Internet e i cellulari danno un potere all’individuo come non mai in precedenza nella storia: se questo aumenta la sua partecipazione alla democrazia, può essere all’opposto una potente arma di controllo di massa. La nascita negli ultimi anni dei cosiddetti social network e delle chat ha introdotto una novità nelle interazioni interpersonali: la mancanza di un rapporto faccia a faccia comporta un inevitabile affievolimento delle inibizioni e il rischio è quello di un comportamento alterato. Internet non era stato previsto da McLuhan, ma nel 1968 già intravedeva il cosiddetto villaggio globale: l’evoluzione della tecnologia avrebbe portato all’annullamento delle distanze non solo fisiche ma anche temporali. Oggi è evidente a tutti l’immediatezza del messaggio: le informazioni viaggiano alla velocità della luce e ogni evento che avviene in qualunque luogo della terra immediatamente si diffonde. Dunque è evidente che, quando non siamo più connessi alla rete, possiamo provare un senso di privazione che può degenerare in sintomi più o meno gravi.
Qual è allora la soluzione? Rispondiamo come avrebbe risposto McLuhan: se guarderemo le nuove tecnologie con un certo distacco, senza esserne inghiottiti, allora riusciremo a intuire e controllare, in parte, i mutamenti sociali che genereranno.
Dall’analisi dei comportamenti sociali all’interno dei social network emerge una necessità, un bisogno collettivo di condivisione incessante e a volte ripetitivo fino all’ossessione: chi è registrato sul social network per eccellenza, Facebook, noterà proliferare la condivisione di video, foto personali, stati d’animo che possono manifestare un bisogno più o meno inconscio di interazione sociale, in un’epoca dominata spesso dall’individualismo e dalla mancanza di rapporti umani. Ecco allora che l’impossibilità di comunicare e quindi anche di condividere qualcosa genera stress.
L’immediatezza del mezzo fa si che tutto il resto, che non dà una reazione e un’emozione immediata, passi in secondo piano.
Un questione importante è l’“ignoranza” tecnologica dei genitori che numerose volte non sono in grado di valutare questi nuovi mezzi e quindi di porre dei limiti sul loro uso ai propri figli in età preadolescenziale.
Carlo Guglielmo Vitale