Il sogno del bipartitismo in Italia è fallito
La fuoriuscita di Rutelli dal Partito Democratico e le recenti incrinature nel Partito del Popolo della Libertà dimostrano che il sogno del bipartitismo in Italia è fallito. Il Partito Democratico nasceva con l’idea di fondare una nuova forza politica moderata di stampo statunitense, cancellando di fatto dall’alto una visione politica e un insieme di idee così di punto in bianco. Poter riempire come una scatola vuota un partito nato dalla fusione e trasformazione di precedenti forze si è rivelato un’utopia: è certamente vero che i partiti come li conoscevano i nostri padri, fondati su un rapporto concreto e diretto con la base, non esistono più. Quelli attuali sono dei partiti cosiddetti pigliatutto, con una sbiadita coloritura ideologica che puntano ad acquisire più voti possibile, spesso legati a una figura chiave, carismatica che dirige la struttura. L’importanza della personalità del leader dimostra lo sganciamento del livello dirigente dalla base, è stato annientato il potere degli iscritti ed reso onnipotente il vertice: si rivela sempre più attenuato il voto di appartenenza anche se permane una distinzione, seppur non a livello ideologico, dell’asse destra-sinistra o piuttosto Berlusconi-non Berlusconi.
Nel Partito Democratico erano confluite anime diverse non disposte a rinunciare al loro passato: radicali, cattolici, postcomunisti, postdemocristiani. Una tabula rasa solo ufficiale che non poteva permettersi l’inclusione dei partiti neocomunisti pena il fallimento del nuovo progetto. Lo schiaffo elettorale ha forse smosso alcuni equilibri all’interno, che ripetuto con diverse elezioni ha portato all’autoesclusione dell’onorevole Rutelli. Nonostante il nuovo animale politico creato sia sostanzialmente una fotocopia della precedente Margherita, esteriormente è cambiato nome e logo: siamo ormai da anni in una competizione non più propriamente politica, basata su uno scontro di idee, ma commerciale, basata sull’apparenza, sul marketing. Il Partito Democratico sarà prima o poi costretto a riprendere l’alleanza con la sinistra radicale, pena ritornare alla posizione del Pci, una opposizione perpetua.
Il Partito del Popolo della Libertà è più compatto soprattutto per la presenza di un leader fortemente carismatico, Berlusconi. Il nuovo partito di centrodestra è nato su imitazione della fusione dei partiti di centrosinistra che hanno dato vita al Partito Democratico; anche qui è avvenuta una mescolanza forzata dall’alto di due partiti strutturalmente diversi. Alleanza Nazionale era ancora fortemente legato al territorio, aveva infatti il maggior numero di iscritti, non più con un’ideologia forte come il Movimento Sociale Italiano ma con alcuni punti-chiave definiti: non mancavano però idee diverse all’interno. Forza Italia invece era un partito nato per volere di Berlusconi, che quindi si autoqualificava come suo leader, senza una visione programmatica ben precisa se non alcuni concetti quali l’essere un argine nei confronti del comunismo (o meglio del postcomunismo), riprendendo il filone che teneva saldamente compatta la Democrazia Cristiana. In queste ultime settimane però l’ex leader di Alleanza Nazionale Fini ha, per così dire, alzato la testa pubblicamente ponendosi quasi in alternativa all’attuale leader: sul tema dei processi e sull’immigrazione, nonché sul tema del testamento biologico appare chiara l’antitesi non solo a Berlusconi ma anche alla Lega Nord.
Dalla visione di insieme del sistema politico italiano possiamo dire con quasi assoluta certezza che il bipartitismo non è adatto al nostro Paese, in quanto le idee in campo sono molte e manca probabilmente anche il concetto del compromesso, soprattutto all’interno della stessa formazione: il dialogo tra due partiti diversi è sempre difficile, a volte impossibile, in tutti Paesi, ma un partito deve sapere in modo chiaro cosa portare a termine in una legislatura. Questo non vuol dire che deve essere un monolite con una sola idea, con una leadership indiscutibile, o in una parola che è stata pronunciata in queste settimane, “partito-caserma”. Ma questo dialogo, questo compromesso non dovrebbe avvenire sui giornali o sulle televisioni, ma all’interno del partito, tra i suoi leader e i suoi iscritti, senza però chiudersi a guscio come una società segreta.
La soluzione di fronte a questa apparenza bipartitica e la realtà sottostante pluripartitica non è facile, soprattutto perché i fatti dimostrano che non si può operare chirurgicamente dall’alto, come un demiurgo, per plasmare un nuovo assetto più funzionale. Sono una serie di eventi a modificare un sistema politico e dunque non si può né prevedere né proporre un’unica linea per intervenire. È necessario ritornare in parte al sistema della prima Repubblica: riprendere contatto con gli elettori, con gli iscritti, ridare il potere ai partecipanti la vita politica vera, senza però degenerare in una lotta politica estrema e lacerante.
Carlo Guglielmo Vitale